Una lunga T1 per questo inizio 2021 Quando il triathlon è metafora di vita

A volte le transizioni sono più lunghe di quanto ci aspettiamo: la mia T1 tra il 2020 e il 2021 mi ha dato qualche problema con la muta, con le scarpe e le calze da bici e forse ho fatto anche una puntatina un po’ lunga in bagno. Insomma non riuscivo più a scrivere. Quanti libri ho letto, quanti film ho visto, quante storie narrano del fantomatico blocco dello scrittore, quell’orrore della pagina bianca che ci fa fuggire al solo pensiero di trovarcisi davanti. Sembra sempre un’assurdità fino a quando non capita a te…

Per una come me, che scrive da quando ha memoria, non farlo è come uscire senza calzini a -10 gradi. Ti vien freddo solo al pensiero. E’ un po’ come quando porti sempre un anello, o un orologio, e un giorno te lo scordi sul comodino. Continui a toccare il dito o il polso dimenticandoti che non ce l’hai. Per essere meno poetici è un po’ come scordarsi le mutande quando vai in piscina e hai già il costume sotto.

Insomma è un disastro.

Faccia perplessa – Perché a me?

E va bene che un periodo di magra capita a tutti. E ok che non sempre l’ispirazione nasce mentre pulisci la catena della bicicletta e magari serve un bel passo montano da guardare. E va bene che prima o poi la sfiga capita a tutti, ma credo proprio di essere incappata in quello che in letteratura (e non) si chiama blocco dello scrittore.

Quando circa un secolo fa lessi Mucchio d’Ossa di King, rimasi piuttosto colpita da quanto il blocco (causato da un trauma) del protagonista avesse un effetto angosciante per chi vive di scrittura. Ecco, io non è che faccia dello scrivere la mia professione primaria e assoluta, ma diciamo che scrivere è una buona porzione anche della mia attività lavorativa, non solo di quella personale.

Ma soprattutto fa parte del mio vivere. Lo so che ve l’ho già raccontato circa 100 volte, ma io mentre faccio sport, che io vada in bici o che corra o ancora che nuoti, io scrivo. Scrivo nella mia testa, chiacchiero con le mie gambe, con i passi alpini, ogni tanto pure con le onde (e quando mi prende un po’ la fifella da acque libere anche con eventuali squali o mostri di Loch Ness acquattati negli abissi).

Non scrivere più, che si tratti di scrittura mentale o fisica, per me è come trovarsi improvvisamente con un vuoto pneumatico in testa, la noia mi prende alla gola e insomma tutto il sistema va in tilt. Credo che in parte sia dovuto a questa vita “in sordina”, in casa a lavorare con contatti solo virtuali, niente amici, cene, convivialità, pochi scambi, anche leggeri, dialettici. Insomma una vita che impoverisce i pensieri e le anime.

Ora ci provo, con slancio, a recuperare sul gruppo, e a raccontarvi quello che mi è successo in questi mesi, perché, nel frattempo, non è che proprio non sia accaduto nulla nella mia vita.

Mi sono candidata al Consiglio Federale della Fitri. Qualcuno di voi avrà visto i miei post della candidatura e il mio video sul programma dedicato agli Age Group. In tanti mi avete scritto per farmi in bocca al lupo, per dirmi che avevo fatto la scelta giusta, che è giusto che io metta la mia esperienza al servizio della Federazione. Qualcuno mi ha dato della matta. Qualcuno mi ha chiesto chi me lo aveva fatto fare, soprattutto considerando quanto io già sia impegnata (ho comprato la Giratempo, lo ammetto). A qualcuno la cosa non è piaciuta (ma del resto mica si può piacere a tutti, no?). Posso dirvi che ho fatto una scelta consapevole ma anche di cuore. L’ho fatta perché credo nelle persone che sono al mio fianco in questa avventura, nel candidato Presidente e nel programma che fattivamente vorremmo portare avanti. Ho scelto di impegnarmi perché il triathlon mi ha dato tanto, mi ha aiutato in un momento difficilissimo e devo tantissimo a questo sport. Ora penso sia venuto il momento di restituire un po’ di quanto ho ricevuto. E poi l’ho fatta col cuore per una donna, un’amica, un medico e una sportiva di così rara bellezza che solo un destino molto crudele, o molto poco comprensibile, poteva pensare di togliercela. Avrebbe dovuto esserci lei in questa squadra e io forse l’avrei aiutata solo dalle retrovie. La vita ha detto che non doveva andare così, ma lei è qui con noi

Il video sul Programma Age Group

Mio marito ed io abbiamo trovato il rifugio dei nostri sogni. Anche qui avrete visto alcuni post di una baita piccolina e un pochino fiabesca, circondata dalla neve. Erano anni che cercavamo un posto così. Siamo da sempre affezionati alla zona del Ghisallo, al lago di Como, alla Grigna, alle salite ciclistiche della zona. Abbiamo detto no a tante proposte in questi anni, di alcune ci eravamo un po’ pentiti. Ma quando BB (se vi interessa sta per Baita Bassotta) si è messa sulla nostra strada si è chiarito tutto, sono scomparsi i dubbi, i pentimenti e tutto l’ambaradam. La baita è su una storica salita della zona, quella che chiamiamo la Nesso (perché da Nesso, paesino sul lago, sale alla Colma di Sormano). La conoscete tutti per il triste incidente di Remco Evenepoel in discesa al Giro di Lombardia del 2020. Ecco io generalmente la faccio in salita, in bici, e sempre con una certa frequenza mi chiedo chi me lo faccia fare. Dire che la detesto è dire poco. A mio marito dicevo spesso “piuttosto salgo e scendo dal Ghisallo due volte” (che non è esattamente una passeggiata di salute, anzi, è tecnicamente molto più dura), non so perché la Nesso mi snervi e mi affatichi così tanto. Bene, prima per arrivare alla casetta montanara dovevo fare il Ghisallo, ora mi toccherà la Nesso… Ma chissenefrega!

Baita Bassotta in tutto il suo splendore nevoso

Ho compiuto gli anni. Non che sia proprio un evento straordinario. Ma insomma è successo. Però un regalo bellissimo me lo sono fatto. Il giorno del mio compleanno c’era un sole straordinario e una di quelle visibilità eccezionali che mi fanno ringraziare di vivere in Brianza. E allora ho deciso, così, senza preavviso, ho mollato il lavoro per mezza giornata e sono andata al Ghisallo in bici. Faceva freddissimo. In cima c’era anche la neve, ma ho respirato l’aria delle mie montagne, ho faticato sui pedali, ho lasciato il mio pezzettino di cuore nel Santuario dove mi sono sposata e ho fatto la foto di rito sotto la statua. Sono una triatleta semplice e per rendermi felice basta poco. Una pedalata così è un buon esempio di quel “poco”.

Mi sono allenata. Sulla bici. Di corsa. Con lo sci alpinismo e anche con lo sci di fondo! Sono una neofita, faccio piuttosto schifo, ma mi diverto un mondo (quando non cado come una pera in discesa, che accade più spesso di quanto non credessi visto che NESSUNA tecnica di discesa dello sci alpino funziona con gli sci stretti). Prenderò lezioni, promesso. Intanto fatico in piano. E rido come se avessi più o meno 4 anni.

Non ho smesso di sperare. Che questa situazione migliori, che la pandemia si riduca, che la gente si ammali meno, che il vaccino funzioni, che i miei amici che lavorano in ospedale possano finalmente respirare un po’, che si possa tornare a festeggiare, a cenare tutti insieme, ad abbracciarsi, a viaggiare, a gareggiare, a vivere senza paura. Ecco… a non avere più paura. Forse è quella la più grande speranza. Dare un colpo di spugna ai timori e al terrore, non perché siamo incoscienti, ma perché non c’è più motivo di essere spaventati.

Sono uscita dalla T1 del mio blocco della scrittura.

Adesso vediamo di uscire dalla T2 di questa pandemia

Poi manca la maratona di questo ironman e siamo sulla finish line. 

La speranza passa sempre per la bellezza

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